di Daniel Greenfield
Uno degli argomenti più noti per bombardare la Siria è che questo aiuterà Israele.
Israele non ha bisogno di questo tipo di aiuto. Gli israeliani distrussero con successo un reattore nucleare siriano nel 2007. Durante la guerra civile siriana, Israele lanciò una serie di colpi contro bersagli siriani. Semmai, un intervento della NATO inibirà la capacità di Israele di operare nello spazio aereo siriano, visto che – come avvenne durante la guerra del Golfo – Israele è tenuto fuori dal conflitto per motivi politici, e cioè per evitare di offendere i musulmani.
La Siria, l’Iran e Hezbollah hanno tutti apertamente o velatamente minacciato di bombardare Israele nel caso di un attacco. E hanno tutte le ragioni di farlo: la possibilità di trascinare Israele nel conflitto è la carta vincente dei paesi musulmani che temono di essere bombardati dagli Stati Uniti. Ciò che più di ogni altra cosa fa venire il panico alla NATO è che il mondo musulmano potrebbe pensare che la NATO stia combattendo la guerra di Israele. Ed è probabile che la NATO contrasterà tale possibilità impedendo ad Israele di controbattere.
Sul fronte della sicurezza, la disgregazione totale del confine di Israele con la Siria in accampamenti di terroristi armati sarebbe molto più disastrosa di una vittoria di Assad. In aggiunta ai crescenti disordini nel Sinai, Israele si trova di fronte a confini pericolosamente instabili, controllati da gruppi terroristici, su quasi tutti i lati.
Assad è un nemico pericoloso, ma uno che può essere tenuto in scacco con minacce di ritorsione. I jihadisti che prenderebbero il suo posto, invece, non appartengono ad alcun paese e si nasconderebbero dietro una popolazione civile di scudi umani, costringendo Israele a giocare gli stessi giochi umanitari disfattisti come nella striscia di Gaza per ridurre al minimo le perdite civili.
La primavera araba ha portato Israele sull’orlo di un confronto con il gruppo d’origine di Hamas, la Fratellanza Musulmana, in Egitto ed in Siria. Considerando quanti danni Hamas è riuscita a creare usando scudi umani per impedire ad Israele di controbattere, la vita sulle alture del Golan potrebbe, infatti, diventare molto brutta.
Inoltre, una vittoria della Fratellanza Musulmana in Siria metterebbe in pericolo la Giordania. Una Siria nelle mani della Fratellanza Musulmana sarebbe in una posizione eccellente per abbattere la monarchia giordana, armare i palestinesi giordani ed abbattere l’ultimo confine stabile di Israele.
Durante il suo brevissimo regno, Morsi ha seminato il caos nel Sinai. Un regime della Fratellanza Musulmana, consolidando il suo potere definitivamente dopo una sanguinosa guerra civile, avrebbe ancor più libertà d’azione nella Siria.
I fautori di un intervento citano spesso l’Iran, ma i motivi per bombardare la Siria non hanno nulla a che fare con l’Iran. La prova migliore di questo è che Samantha Power, l’ambasciatrice di Obama all’ONU, ha difatti investito parecchio tempo nel tentativo di stendere una mano verso l’Iran e convincere il regime a tagliare i legami con la Siria per il suo presunto uso di armi di distruzione di massa.
Se fermare le armi di distruzione di massa siriane fosse davvero un passo sul cammino per fermare le armi di distruzione di massa iraniane, Samantha Power non avrebbe seguito un percorso talmente assurdo. Invece, Power e Obama vogliono negoziare con l’Iran, mentre vogliono bombardare la Siria.
Non sono le armi di distruzione di massa iraniane ad occuparli. È aiutare i ribelli sunniti a vincere nella Siria, invece. Ed è molto più probabile che armi di distruzione di massa finiscano nelle mani di terroristi in seguito a vittorie dei ribelli nella Siria che ciò accada grazie allo status quo.
Allo stesso modo l’affermazione che la credibilità di Obama riguardo alla Siria debba essere preservata per proteggere la sua credibilità in relazione all’Iran è priva di sostanza. La credibilità nei confronti dell’Iran è un problema soltanto se assumiamo che una certa quantità di pressione o sanzioni potrebbe costringerlo ad abbandonare il suo programma nucleare. I metodi di questo tipo non hanno funzionato finora e non funzioneranno mai.
Il regime di sanzioni non è altro che una tattica dilatoria per consentire all’Iran di completare il suo programma nucleare. Il modo migliore per aprire una scorciatoia verso un intervento che potrebbe davvero impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare a tutti gli effetti è screditare l’idea che l’Iran possa essere intimidito al punto di abbandonare il suo programma nucleare.
Obama possiede qualche credibilità quando si tratta di bombardare la Siria. Non ha alcuna credibilità quando si tratta di bombardare l’Iran. Quanto prima Israele e tutti gli altri capiranno questo, tanto prima Israele sarà libero di prendere le misure che dovrà prendere, e questo ci librerà dallo stare al gioco del labirinto delle trattative dell’Iran che conduce da nessuna parte tranne verso l’inevitabilità di una bomba nucleare iraniana.
L’Iran sa che Obama vuole bombardare la Siria nell’ambito di un intervento filosunnita per conto dell’Arabia Saudita in una guerra religiosa regionale e che tale progetto non ha molte cose in comune con i suoi progetti nucleari per Tel Aviv. La credibilità di combattere la guerra dell’Arabia Saudita non è la stessa cosa come la credibilità di prendere posizione per un paese che Obama ha sbattuto di qua e di là durante due presidenze.
Gli Stati Uniti bombardarono l’Iran per il Kuwait nel 1988 e l’Iraq per il Kuwait nel 1991. Poi abbiamo bombardato la Libia per l’Arabia Saudita nel 2011 ed ora, nel 2013, stiamo contemplando il bombardamento della Siria per l’Arabia Saudita. È stato attendibilmente stabilito che se un paese musulmano con petrolio ha davvero bisogno di noi per bombardare qualcuno, lo faremo. Israele, tuttavia, si trova in una categoria diversa. Non è un paese petrolifero musulmano.
Un bombardamento della Siria non aggiunge alcuna deterrenza né credibilità ad uno scenario nucleare iraniano. L’unica cosa che farebbe sarebbe avvertire l’ayatollah Ali Khamenei che egli potrà distruggere Israele con bombe atomiche, ma che è meglio non toccare l’Arabia Saudita.
Obama ha trascinato Israele in una sgradevole coalizione islamista sunnita tra la Turchia di Erdogan, la Dinastia Saudita e l’Egitto di Morsi. E il primo ministro Netanyahu c’è stato. Ma ora l’Egitto si sta ritirando dal campo islamista ritornando allo stato delle cose che precedeva il caos della primavera araba.
È nell’interesse di Israele di reimpostare la situazione in Siria allo stesso modo.
La pipeline delle armi fra Hezbollah, la Siria e l’Iran rimarrà una minaccia, ma l’asse sciita sarà più isolata che mai e il diavolo sciita che si conosce già può essere meglio di quello ancora sconosciuto consistente in un’asse della Fratellanza Musulmana che, con il supporto di Washington, minaccia Israele attraverso confini multipli. E una regione più stabile con meno milizie che compiono dei raid su installazioni di armi di distruzione di massa sarà bene per Israele.
Il Medio Oriente di quattro anni fa non era un luogo straordinariamente confortevole per Israele, ma era un posto migliore di quello che è oggi. Vi è, per Israele, qualcosa di peggio di una reimpostazione. Può darsi che la primavera araba nel Nordafrica sia irreversibile, ma nelle immediate vicinanze di Israele è già in corso di essere invertita.
Un bombardamento della Siria non aiuterebbe Israele, che in tal caso si troverebbe nella linea di tiro di una guerra combattuta a beneficio della Turchia, dell’Arabia Saudita e del Qatar.
E della Fratellanza Musulmana.
Traduzione dall’inglese di Ralph Raschen
Il testo originale è stato pubblicato su Frontpage Mag l’11 Settembre 2013.